Storia

 

Storia della CAPDI
(di Alberto Capilupi)

La C.A.P.D.I. (Confederazione Associazioni Provinciali Diplomati I.S.E.F.) è stata fondata a Villafranca di Verona 12 anni fa (il 1° novembre 1989) da 8 Associazioni Provinciali (di Belluno, Bolzano, Brescia, Imperia, Mantova, Pavia, Rovigo e Verona), a conclusione del lavoro svolto dal comitato promotore che si era costituito nel giugno dello stesso anno a Caldiero (Verona). L'atto costitutivo della confederazione è stato fatto il 7 giugno 1992 presso il notaio Araldi di Mantova.

La caratteristica della confederazione è di essere formata sia da singole persone che da associazioni locali: le associazioni provinciali (il cui numero minimo è di 10 iscritti).

La CAPDI ha avuto due presidenti semestrali nel suo primo anno di vita (1989-90): Alberto Capilupi (Mantova) e Massimo Lanza (Verona). Capilupi ha retto la confederazione per altri 8 anni (1991 - 1998). Nel successivo biennio (1999 e 2000) la presidenza è passata a Bruno Mantovani (Milano), cui è succeduto Flavio Cucco (Venezia) il 14 gennaio 2001.

Nella primavera del 2001 la C.A.P.D.I. si è allargata ai laureati in Scienze Motorie, modificando la propria denominazione in "C.A.P.D.I. e L.S.M." (Confederazione Associazioni Provinciali Diplomati I.S.E.F. e Laureati in Scienze Motorie).

Alla fine del 2001 fanno parte della confederazione 33 gruppi provinciali: 25 associazioni e 8 delegazioni (aggregate alla confederazione e prive di diritto attivo di voto), in rappresentanza di 31 provincie; inoltre è iscritta come aggregata un'associazione nazionale: l'ALSM. Le associazioni hanno le loro sedi in Ancona, Biella, Bolzano (che ha due associazioni), Brescia, Cagliari, Catania, Cuneo, Ferrara, La Spezia, Livorno, Matera, Milano, Napoli, Padova, Parma, Perugia, Prato (sede dell'associazione interprovinciale di Prato e di Pistoia), Potenza, Roma, Trapani, Treviso, Trieste, Venezia, Vicenza; ci sono delegazioni ad Ascoli Piceno, Bergamo, Bologna, Genova, Mantova, Milano, Rovigo, Verona. Il numero totale degli iscritti ai gruppi confederali è di circa 3.000.

La base della CAPDI è l'associazione provinciale. Si hanno notizie di alcune associazioni e di centri studi locali di educazione fisica che risalgono agli anni 70 (ad esempio a Bolzano e a Ferrara). Il loro scopo prevalente era quello di approfondire argomenti legati all'insegnamento dell'educazione fisica nella scuola, nello spirito della legge n. 88 del 1958. La spinta decisiva, che portò poi alla fondazione della CAPDI, fu l'esigenza - sentita verso la fine degli anni 80 - di creare un collegamento tra le associazioni locali ma senza aderire al modello verticistico delle associazioni nazionali. Un ruolo importante in tale direzione fu svolto dalla dirigenza di un'associazione provinciale fondata a Mantova nel 1983, l'A.M.E.F. (Associazione mantovana educatori fisici), che in pochi anni raggiunse il numero di 150 iscritti. Sempre più ci rese conto che era opportuno organizzarsi a 360 gradi, facendo riferimento non soltanto all'insegnamento nella scuola, ma a tutti i possibili sbocchi professionali legati al possesso del diploma ISEF. Si sentiva infatti la necessità di mettere insieme in un'unica associazione autonoma la maggior parte possibile dei diplomati ISEF residenti nella provincia, in modo da discutere e portare avanti in modo unitario i problemi locali (scolastici ed extra-scolastici) della categoria, con particolare riferimento all'aggiornamento su temi riguardanti l'educazione fisica scolastica, lo sport e la "ginnastica" finalizzata a diverse necessità: un insieme di esigenze che non veniva soddisfatto adeguatamente né dal Ministero della Pubblica Istruzione nè dalle associazioni nazionali. Da un lato, sulla spinta di nuove richieste degli allievi, si sentiva infatti il bisogno di dare agli insegnanti di Educazione fisica della provincia, tramite frequenti aggiornamenti locali, una risposta alla domanda di integrare le precedenti conoscenze, ricevute soprattutto a livello accademico (erano piuttosto rari i convegni nazionali e provinciali promossi dal Ministero della Pubblica Istruzione ed erano occasionali le iniziative assunte dalle sezioni provinciali delle associazioni nazionali); d'altro lato (a causa dei limiti finanziari dei Provveditorati agli Studi) c'era la necessità di fornire mediante iniziative private un supporto divulgativo-culturale per le ore di gruppo sportivo; inoltre si trattava di venire incontro alla domanda sempre più crescente di movimento finalizzato alla prevenzione, al mantenimento, al raggiungimento e al recupero della buona "forma" fisica (vasto settore nel quale si stavano sempre più inserendo professionalmente, a causa del totale vuoto legislativo, operatori privi di un'adeguata base culturale); infine c'era l'opportunità di tenere un legame, a livello locale, con i diplomati ISEF che operavano nel settore della cosiddetta ginnastica correttiva (un campo che presentava intersezioni con quello terapeutico-sanitario).

I numeri degli iscritti e delle iniziative testimoniano che la formula dell'associazione provinciale si è dimostrata estremamente valida, specialmente dove si è creato un gruppo dirigente capace di organizzarsi, di interpretare le esigenze dei propri soci e di impegnarsi a tutto campo (cioè non soltanto per i problemi scolastici). Si è anche constatato che i maggiori successi sono stati ottenuti nelle città piccole e medie, mentre in quelle di grandi dimensioni era (ed è) più difficile creare un'associazione provinciale che potesse essere rappresentativa della categoria.

Il modello di riferimento era quello delle associazioni professionali, che sono organizzate in ordini e in collegi provinciali, regionali, nazionali.

La vicinanza con altre città sedi decentrate di ISEF (Verona e Brescia) frequentate da studenti di varie altre province del nord Italia favorì la diffusione del modello, che fu apprezzato e propagandato da vari docenti e studenti ISEF. Altre occasioni furono offerte dai corsi di aggiornamento organizzati dalle associazioni nazionali e dalla scuola.

Ad un certo momento, facendo la somma degli iscritti alle singole associazioni provinciali, ci rese conto del fatto che il numero totale stava diventando superiore a quello delle maggiori associazioni nazionali. A quel punto ci si sentì incoraggiati a compiere un passo ulteriore: aggregare i gruppi provinciali, in modo da poter affrontare unitariamente le problematiche nazionali della categoria: in primo luogo la mancanza della laurea, l'estrema carenza di ricerca scientifica (in Italia) nel campo del movimento umano e l'inadeguatezza degli ISEF; l'esigenza di valorizzazione gli aspetti educativi nell'impostare l'approccio dei giovani con lo sport; la necessità di affiancare con un'organizzazione snella i sindacati della scuola, instaurando anche rapporti diretti con il Ministero della Pubblica Istruzione; l'assenza di regolamentazioni riguardanti l'esercizio della libera professione. Tutti problemi che venivano completamente ignorati dalla maggioranza della categoria, in molti casi miope ed individualista.

Il primo problema che fu affrontato fu quello della laurea, come è testimoniato dai numerosi convegni, interventi ed articoli pubblicati. Non per pura coincidenza si è poi arrivati nel giro di qualche anno (dopo che per 30 anni le associazioni nazionali avevano trovato muri di gomma fatti erigere dal CONI e dagli ISEF) alla trasformazione degli stessi ISEF e all'istituzione del corso di laurea in Scienze Motorie presso le Università, grazie ad un'operazione di… ingegneria legislativa (all'interno della legge Bassanini), cui è seguita, poco dopo, la riforma universitaria con l'istituzione della laurea di base triennale e di quelle di specialità (biennali). Ciò ha comportato un ovvio allargamento della confederazione ai laureati: la CAPDI, pur mantenendo il proprio logo iniziale, si è infatti trasformata in CAPDIeLSM (Confederazione associazioni provinciali diplomati ISEF e laureati in Scienze motorie).

Ma il passaggio all'Università ha fatto registrare altri rischi, che potranno essere in parte superati se sottoposti a continuo monitoraggio da parte delle associazioni. Il maggiore è quello dell'occupazione della maggior delle cattedre da parte di docenti provenienti da altre facoltà: rischio che si traduce nella possibile cancellazione di un prezioso capitale culturale, costituito dalla precedente cultura motoria.

Un altro problema che rimane aperto è quello della regolamentazione delle professioni, considerando che non esiste, per la professione di insegnante di attività motorie, un albo nazionale riconosciuto dal Ministero di Grazia e Giustizia. Sono invece in vigore alcune leggi regionali. Sarà quindi necessario - non solo per motivi d'ordine corporativo - contribuire a mettere un po' di ordine in un campo caotico caratterizzato dalla circolazione di titoli di grado universitario, titoli universitari e patentini di federazioni e di enti di promozione sportiva.

Un altro settore estremamente delicato è quello della scuola, in cui coesistono due tendenze opposte: l'allargamento professionale verso le scuole elementari e un ridimensionamento della materia nelle scuole secondarie.

Tutti problemi che richiedono la presa di coscienza della necessità di un'organizzazione capillare e il più possibile unitaria a livello provinciale, regionale, nazionale ed europea.

Ultima revisione il 05-10-2020